Mercoledì 24 aprile 2013
August Sander nacque nel 1876, a Herdorf, piccolo centro minerario del Palatinato Renano, quarto figlio di nove fratelli. Da ragazzo lavorò nella miniera, dove il padre faceva il carpentiere ed entrò in contatto con molti lavoratori, provenienti anche da altri paesi.
Subito dopo il servizio militare intraprese il “mestiere” di fotografo e passò di città in città fino a fermarsi a Colonia. Qui ebbe i suoi primi successi e qui, dopo la guerra, entrò in contatto con i “progressisti di Colonia”, un gruppo di artisti che cercava di andare al di là dell’esangue lezione dell’espressionismo e di conciliare costruttivismo e obiettività, geometria e oggetto, verso quel modello estetico che avrebbe preso il nome di “Nuova obiettività”. La rivista del gruppo, A bis Z, gli aprì le pagine e contribuì decisamente a far conoscere ad un pubblico sempre più ampio i suoi lavori.
La sensibilità per il mondo popolare e l’impostazione estetica sempre più convinta lo indussero a mettere in piedi un progetto ambizioso, quello di fotografare le tipologie umane – non la singola persona – del suo tempo, di fornire un catalogo a metà strada tra ricerca artistica e l’indagine sociologica. Ne venne fuori un mondo di individui connotati socialmente, per professioni. Uno spaccato del suo tempo che si concretizzò nel 1929 nella grande mostra Volti di un’epoca, embrione del suo grande progetto Uomini del XX secolo.
Con queste immagini Sander aveva celebrato il suo distacco definitivo da quella tradizione della “fotografia d’arte” che aveva ereditato dalla pittura codici formali e, assieme a questi, un mal celato complesso di inferiorità nei confronti della “sorella maggiore”.
La prima edizione dei Volti di un’epoca ebbe una prefazione scritta da Alfred Döblin, che celebrò in Sander il rappresentante di quella categoria di fotografi “coscientemente realisti” – in Germania non ne vedeva altri – che “ritengono operanti e reali i grandi universali; la loro opera non consiste nella produzione di ritratti somiglianti, in cui si possa riconoscere con facilità e certezza un individuo determinato, ma di ritratti in cui si debba riconoscere qualcosa d’altro. […] Tali immagini suggeriscono intere storie, costituiscono un materiale infinitamente più stimolante, più ricco, di ciò che può offrire la cronaca. Chi guarderà queste immagini nette, potenti, ne sarà illuminato, più che da conferenze o teorie, e imparerà molto, su di sé e sugli altri”.
Dopo la guerra, trentamila negativi che si trovavano nella cantina del suo appartamento a Colonia vennero distrutti dalle fiamme, ma il nucleo più importante si salvò. Sander continuò a fotografare, sempre fedele a se stesso; ormai il suo nome aveva fatto il giro del mondo e nel 1955 fu organizzata la grande mostra The Family of Man.
Due anni prima della morte, nel 1962, a Città del Messico, si aprì una grande mostra: il titolo – Specchio dei tedeschi – ancora una volta significava il suo mondo.
Fabio FRANCESCATO
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