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DONATELLA DAVANZO – “Route 66: mito o documento?”

«Route 66: mito o documento?»

Incontro con Donatella Davanzo

 

Un semplice nome eppure una storia leggendaria. Una strada diventata un simbolo universale da percorrere all’insegna dell’avventura e della libertà. Accompagnata spesso da immagini dei grandi spazi americani, è diventata più un’idea che un fatto reale. Ancora oggi per i numerosi viaggiatori che vi si recano da ogni parte del mondo, è la strada che attrae, più che la destinazione da raggiungere. La storica highway è ancora un viaggio “nel tempo” per trovare i “veri”” Stati Uniti, la loro storia e la loro cultura o perché un viaggio personale ci spinge alla scoperta dei propri immaginari. Route 66 è un fascino che resiste sin da quando è iniziato, con i primi film Hollywoodiani, i romanzi, le canzoni di Woody Guthrie e di Bobby Troup e le serie televisive del dopoguerra. Lo stesso numero “66” ben si accorda con un’esperienza che apparve subito unica e che ha distinto questa highway dalle altre fin dal lontano 1926, quando venne istituita come strada ufficiale. Da Chicago a Los Angeles, Route 66 è una diagonale che attraversa 8 stati nordamericani, climi e paesaggi diversi di periferia, di grandi città, sobborghi, pianure, deserti, fino ad arrivare al mare di Santa Monica in California.

Eppure Route 66 racconta storie molto diverse fra loro, forse non a tutti conosciute. Un “On the Road” iniziato con le esperienze di migrazioni durante la Grande Depressione degli anni ’30; una strada percorsa da mezzi militari durante la Seconda Guerra Mondiale; e infine contrassegnata dall’ottimismo della rinascita americana degli anni ‘50 e ’60, ma dove l’esclusione della comunità Afro-Americana, anche dalla Route 66, era un fatto reale. Un strada ha offerto sentimenti, sicurezza e speranza per molti lungo la Mother Road, il nome nato dal romanzo di John Steinbeck Furore. Dal 1985, quando venne ufficialmente destituita ufficialmente come highway americana, il turismo sempre più intenso ha contribuito alla crescita del mito e alla commercializzazione della sua immagine.

Ogni suo chilometro è fonte di ispirazione fotografica. Ma oltre alle immagini di viaggio che raccontano di luoghi, persone, e attrazioni turistiche, ci sono gli archivi di grandi fotografi che hanno invece documentato le storie umane e i luoghi che hanno fatto della Route 66 la sua vera storia. Ricordiamo le opere di Dorothea Lange, Robert Frank, Walker Evans… per citare solo alcuni nomi famosi. A metà anni ’60 emerse la corrente americana dei Topografici (New Topographics) con le immagini di John Scott, Ed Ruscha e Stephen Shore. La loro tecnica di documentazione creò una “lettura” innovativa del paesaggio. Immagini lontane da espressioni nostalgiche e naturalistiche, concentrate invece sugli “ordinari luoghi”, quelli di ogni giorno, spesso ignorati dalla fotografia. Strade vissute dalla mobilità e uso dell’automobile che da sempre distinguono la cultura americana, costellate di motel, stazioni di benzina, parcheggi, e drive-in. Nelle loro immagini di documentario, i topografici ci portano alla scoperta di una diversa, e più’ vera, Route 66.

 

Donatella DAVANZO

30° Gran Premio Fotografico per stampe a colori – Prima serata

In giuria, questa sera: Tullio Fragiacomo, Fulvio Merlak ed Ernesto Petronio.

La prima serata del 30° Gran Premio per stampe a colori ha visto la seguente classifica:

1° – Paolo Argenziano

2° – Massimo Tommasini

3° – Gianfrano Crevatin

4° – Rosanna Kosuta

5° – Furio Scrimali

 

Monologhi: EDIFICI E ARCHITETTURE

Mercoledì 27 settembre 2017

alle ore 18:30

selezione di “Monologhi”

Tema: EDIFICI E ARCHITETTURE (max 10 file)

in precedenza il NOTIZIARIO FOTOGRAFICO a cura di Fulvio MERLAK

La prima serata di “Monologhi” della stagione 2017/2018 è dedicata a “Edifici ed architetture”.

Edifici sono tutte le opere in muratura o prefabbricati che portano l’impronta della mano dell’uomo. E architettura è una elaborazione artistica degli elementi strutturali, funzionali ed estetici di una costruzione. È sufficiente aggiungere un aggettivo al termine architettura e avremo delle suggestioni per le nostre immagini. Ecco alcuni esempi: architettura navale, civile, funeraria e ancora preistorica, greca, romana, gotica, rinascimentale, moderna, contemporanea. Ora non resta che armarsi di macchina fotografica e catturare suggestioni reali che sappiano parlare di edifici, architetture e uomini che le hanno realizzate.

Edifici e architetture

La Foto dell’Anno 2016 FIAF

È dal 2012 che la nostra Sala Fenice ospita, con continuità, la Mostra denominata “La Foto dell’Anno FIAF” (in questa occasione quella relativa ai Concorsi organizzati nel 2016). La rassegna è composta da trenta immagini ed è frutto di una complessa e lunga Selezione fra tutte le fotografie prime classificate nei Concorsi patrocinati dalla FIAF nel corso dell’anno di riferimento (ben ottantadue nel 2016).

Jason Row, un fotografo britannico freelance non molto conosciuto, che vive a Odessa in Ucraina ed è specializzato in vendita di fotografie di viaggio, scrivendo a proposito delle competizioni fotografiche, ha avuto modo di affermare: ”Chi partecipa ai concorsi fotografici lo fa principalmente per conquistare un riconoscimento. Tutti i fotografi hanno il desiderio di essere accreditati per le loro capacità. Ciò, ovviamente, costituisce un atto di vanità, ma la conquista di una gratificazione può rappresentare anche uno stimolo a fare sempre meglio e ad essere maggiormente critici nei confronti dei propri lavori.” Quella di Row è una dichiarazione tanto semplice quanto azzeccata. I concorsi vanno presi per quello che sono. Ma la loro valenza non può esaurirsi con la semplice ricerca ed eventuale conseguimento di un risultato; i concorsi, se ben interpretati, rappresentano un vero e proprio incentivo alla crescita. È in quest’ottica che anche la Mostra organizzata annualmente dalla FIAF assume uno spessore che va ben al di là della semplice “vetrina” espositiva.

Le cinque opere finaliste de “La foto dell’Anno 2016” sono “Adrenaline 2” di Francesco Armillotta di Manfredonia (Foggia), “Koranic school 5” di Marco Bartolini di Montevarchi (Arezzo), “Underground” di Giulio Brega di Fabriano (Ancona), “Le due sorelle” di Carlo Durano di Grosseto e “Donna sul carro” di Bruno Madeddu di Sarzana (La Spezia). A conclusione di tutto l’iter selettivo, il titolo di “Foto dell’Anno 2016” è andato a “Donna sul carro” di Bruno Madeddu.

Fulvio MERLAK


Vi aspettiamo mercoledì 20 settembre 2017 alle ore 18:30 presso la Sala Fenice del Circolo

«Appunti dalle periferie del mondo» Incontro con Gabriele Orlini

Mercoledì 13 settembre 2017

Avevo un lavoro sicuro e viaggiavo molto. Uno stipendio sopra la media, abiti puliti e talvolta pure eleganti. Non dico che la strada fosse segnata – la mia non lo è mai stata – ma certamente avevo tutte le condizioni per starmene tranquillo e apprezzare l’agio di quel attimo di vita che, ancora oggi lo credo, mi era stato dato senza troppi meriti.

Poi un giorno, per un caso o per il calcolo di qualcuno o qualcosa, la fotografia mi “cadde addosso” e, come disse Marco Pesaresi, “… non fu amore, ma la risposta a domande che ancora non mi ero posto”. E la mia domanda era la Scrittura: raccontare storie, narrare gesta, fantasticare di luoghi che sulla superficie sferica del mappamondo erano soltanto dei puntini invisibili. Però per me scrivere è faticoso, manca forse il talento, ma soprattutto per questa mia indole vagabonda, la scrittura è un atto troppo silenzioso e a tratti troppo isolato.

La Fotografia, quindi, divenne la risposta. Perché mi permetteva di stare dentro le storie nel momento esatto in cui le andavo a narrare. Perché mi obbligava a instaurare una relazione con persone che mai avrei pensato di incontrare e di sentire dialetti che neanche la Torre di Babele si immaginava. In una sola idea, la Fotografia, quella di Reportage, mi ha messo il mondo in mano.

La fotografia e la sua potenza narrativa, le dinamiche del reportage, il narrare una piccola parte della vita degli altri e sporcarmene fino a rischiare di dimenticare la mia; calcolare il tempo in eventi e non in minuti, come accade in Africa; essere parte di qualcosa, qualcosa di grande, come accade in America Latina; non pretendere tutte le risposte ma essere capaci di farsi le domande, quelle giuste, come accade nell’Estremo Oriente; e non ultimo, i fronti di guerra del Medio Oriente. Sono queste le cose che porterò alla serata “Appunti dalle Periferie del Mondo”. Parlerò di uomini e delle storie che si portano addosso con il metodo del fotoreporter e la visione dello scrittore, per dare corpo e voce soprattutto a quelle realtà nascoste, a volte difficili, ma che qualche volta anche sorridono.

 

Gabriele ORLINI


Gran bella serata quella di ieri in compagna di un Gabriele Orlini particolarmente ispirato.
Il suo è stato un graditissimo ritorno (Gabriele ha frequentato il nostro Corso di Fotografia nel 2011).
Queste le sue parole:

“Triestino di nascita, milanese d’adozione, porteño per destino, appena posso amo tornare nella mia intima e malinconica Buenos Aires. Non ho radici ma gambe e ho scelto di fare il mestiere del vento per non tradire quella sottile e vitale necessità di sentirmi altrove.

Racconto le storie dei singoli, uomini e donne che insieme formano quel puzzle scomposto chiamato Umanità e a cui tutti, in qualche modo, apparteniamo.

Le racconto soprattutto per mezzo della fotografia, ma a volte anche della scrittura, per dare una voce forte specialmente a quelle storie invisibili perse nel marasma mediatico del quotidiano.

Amo entrare nelle storie forti e rimanerne, mio malgrado, impigliato.

Parlo del travaglio dei profughi e delle loro speranze, di abuso sessuale e di violenza sulle donne dall’Africa al Sud America, di bordelli e di bambini soldato, di emarginati ma anche di sorrisi.”