Fabio Francescato: “La photographie humaniste”

Mercoledì 23 aprile 2014

Avanti con gli anni, Cartier Bresson amava definirsi “un umanista”, riprendendo un’espressione legata a quella “photographie humaniste” che a partire dagli anni Trenta si era imposta in Francia ed a cui aveva dato il suo fondamentale contributo.

Esaurite la spinta delle avanguardie e la ricerca ad ogni costo di forme nuove, la fotografia francese aveva intrapreso un nuovo cammino, attento alla realtà quotidiana, alla condizione umana colta nei suoi aspetti intimi e dolorosi, nelle sue battaglie contro gli effetti della crisi del ’29 ed il diffondersi dei fascismi. Nel suo desiderio di ricostruzione umana e materiale dopo il 1945.

Su questo fronte “umanista” dettero il meglio di sé fotografi quali André Kertész, Izis, Robert Doisneau, Ronis, Brassaï, Edouard Bobat, animati tutti da un forte impegno sociale e da un profondo rispetto per l’“uomo”, che per una trentina d’anni rimase sempre il soggetto più importante per la loro vita di artisti. “L’uomo e la sua vita – scrisse Cartier Bresson – così breve, così fragile, così minacciata”. Gli faceva eco Izis, che, rifiutando la banalità dell’“evento”, fece conoscere in Francia e all’estero i luoghi dove “non accade nulla”.

Per connotare la loro estetica gli studiosi usarono l’espressione “realismo poetico”, una prospettiva molto vicina a quel “fantastico sociale” che in quegli anni si stava affermando nel cinema e che Georges Sadoul aveva contribuito a far conoscere. Era la ricerca di una “realtà” che non si risolvesse mai in un realismo insignificante e superficiale, in un distacco che riduceva il fotografo ad uno spettatore imparziale: una ricerca sempre pronta a cogliere con la macchina fotografica quel “meraviglioso quotidiano” che faceva la gioia lirica di Aragon, del suo Paysan de Paris.

Fabio FRANCESCATO

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