Breve focus sulla fotografia nel “villaggio globale” di una “società liquida”

Editoriale del Trieste Photo News di Novembre / Dicembre 2013

L’uomo percepisce la realtà che lo circonda attraverso  cinque sensi ed è innegabile riconoscere alla vista un  ruolo crescente nel formare quel ponte ideale fra  mondo esterno e mondo interiore.
La preponderanza  di questo senso però ha di fatto modificato una serie di  equilibri comunicativi dei quali oggi osserviamo gli  effetti senza riuscire a comprendere completamente le  implicazioni.

Inizierei, in questo ragionamento, dal fatto che a partire  dal ‘700 (ma soprattutto nel secolo successivo) lo  sviluppo della stampa ha determinato il definitivo  passaggio dalla cultura orale a quella alfabetica. La  ragione che mi spinge a iniziare le mie osservazioni da  questo dato di fatto dipende da un effetto che questo  cambiamento ha prodotto: mentre la cultura orale, la  parola, ha rappresentato per secoli un’energica  superiorità, il sopravvento della cultura alfabetica ha  generato significati mentali legati per lo più al  “passato”.

Per certi aspetti, la stampa, accentua il  senso dell’individualismo, della quantificazione, della  meccanica. In pochi decenni, queste trasformazioni  hanno avviato l’occidente nella direzione di ciò che noi  oggi identifichiamo con il concetto di “era moderna”.
Negli ultimi due secoli appare agitarsi ed emergere  tumultuosa una contrapposizione di fondo fra un già  stabile razionalismo sensibile alle tecnologie e  l’emersione di una neo coscienza irrazionale formatasi  a iniziare dal Romanticismo.
Per queste ragioni entra nelle riflessioni degli studiosi  del secondo dopoguerra l’idea che le tecnologie  presenti nelle società siano in grado di influenzare la  struttura mentale delle persone e, più in generale, la  cultura persistente.

La svolta giunge nei primi anni ’60  quando il sociologo Marshall McLuhan pubblica “Gli  strumenti del comunicare” (Understanding media: the  extensions of man). Se la tecnologia della  comunicazione si fa sempre più importante è  necessario comprendere meglio la funzione dei media  (a prescindere dai contenuti che questi veicolano),  attraverso dei criteri strutturali sui quali si organizza la  comunicazione stessa. Nel 1964 entra, nel lessico  degli studiosi, l’assioma “il medium è il messaggio” che  può essere chiarito partendo dal concetto secondo il  quale il vero messaggio che ogni medium trasmette è  costituito dalla natura del medium medesimo.  Il secondo punto della nostra riflessione incontra il  pensiero del filosofo polacco contemporaneo Zygmunt  Bauman il quale esplora, attraverso una metafora  molto energica, le caratteristiche dell’epoca  postmoderna che stiamo attraversando.

Egli sostiene  che mentre nell’età moderna tutto era definibile come  una solida costruzione, una fase storica entro la quale  ogni questione principale era votata a dar vita a  un’identità specifica affinché si stabilizzi nella cultura  corrente mentre nel postmodernismo ogni aspetto  della vita può venir plasmato artificialmente. Egli  coniuga questo rimodellamento continuo con  l’espressione “liquido”. Il passo verso la “società  liquida”, a qual punto, si dimostrò quasi immediato.  Vale la pena ricordare anche altre intuizioni  sull’argomento: “la narrativa postmodernista si  caratterizza per il disordine temporale, il disprezzo  della narrazione lineare, la commistione delle forme e  la sperimentazione nel linguaggio”- Barry Lewis, 2001.

Baumann ritiene che nella società liquida non esista  più lo spazio; esso è sostituito dal “luogo” dotato della  capacità di creare un significato dall’esperienza, dalla  definizione di ambito e perimetro locale. “Quando lo  spazio cessa di essere significante cessa  conseguentemente di essere luogo, non definisce più,  dunque, né ambiti né dimensioni locali, diventando  mero spazio” – Z.B.  La fotografia sta attraversando questa tempesta  sociale e culturale, la rete ha già completamente  modificato l’intero sistema delle relazioni andando a  interferire in modo variabile nei gruppi di individui che  la utilizzano. Solo 15 anni fa i baby boomers (persone  nate fra il 1945 e il 1964) e la generazione X (1965 –  1980) utilizzavano la rete traslando processi e  atteggiamenti dalla vita reale. Ma da quando i  Millennials (> 1980) si sono accorti che potevano  sfruttare in modo diverso le neotecnologie, gli operatori  della rete hanno cambiato strategia. L’avvento del Web  2.0 (prima apparizione nel 2004) ha accelerato  l’insieme dei cambiamenti. La fotografia ha  rapidamente sfruttato direttamente (pubblicazione) e  indirettamente (comunicazione) i nuovi “media”.
Basta  pensare alla spaventosa proliferazione di fotografie  generate e riversate negli ormai classici social  network, o nel più recente sistema di microblogging  (Twitter) fino a giungere a piattaforme quasi  completamente image oriented come Instagram per  comprendere come l’immagine stia percorrendo strade  diverse, con linguaggi e prospettive temporali in  costante cambiamento. Se la teoria di McLuhan è  corretta (“il medium è il messaggio”) vuol dire che tutto  ciò che transita attraverso diversi sistemi di  comunicazione e fruizione forma oggi ambiti  indipendenti nei quali lo stesso utilizzo non è  confrontabile con gli altri. Il concetto che noi fotografi  abbiamo di “qualità” dell’immagine è stato  intensamente messo in discussione dalla presenza  delle fotocamere nei moderni smartphone e i numeri di  coloro che possono raggiungere e visualizzare album  fotografici e singole immagini attraverso la rete è  talmente ampio da suscitare altre riflessioni.

La viralità  della rete non è sempre sensibile alla qualità delle  immagini o alla riconoscibilità del linguaggio e cultura  dei contenuti, anzi, ma certamente stupisce come  autori provenienti da esperienze molto diverse  possono vantare decine di migliaia di “followers” con  livelli di gradimento impensabili per coloro che  utilizzano ancora sistemi tradizionali o moderatamente  ibridi. Ma è proprio il media che indica nuove vie e  nuovi mix. Le esposizioni di immagini stampate da  scatti pubblicati tramite il servizio Instagram  rappresentano una ulteriore dimostrazione di come  non sia più possibile fermare la proliferazione e il  metamorfismo di queste forme espressive. Se quindi è  un bene stimolare questi passaggi e cambiamenti è  opportuno manifestare preoccupazione per il come  viene percepito l’insieme delle azioni che formano il  passaggio dal “vedere” al “formare” l’immagine.

Se la  visione di Baumann è quindi verificabile e dimostrabile  vuol dire che l’effimero agire sull’immagine che tutti  constatiamo nell’alveo dell’ubiquitus digitale nel quale  viviamo sembra non avere più un passato e,  purtroppo, neanche un futuro. Tutto nasce e si  esaurisce in un diario, in una “timeline” dinamica  sempre più veloce.

TULLIO FRAGIACOMO
(tullio.fragiacomo@outlook.com – @tfragiac – FB)

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