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La Foto dell’Anno 2016 FIAF

È dal 2012 che la nostra Sala Fenice ospita, con continuità, la Mostra denominata “La Foto dell’Anno FIAF” (in questa occasione quella relativa ai Concorsi organizzati nel 2016). La rassegna è composta da trenta immagini ed è frutto di una complessa e lunga Selezione fra tutte le fotografie prime classificate nei Concorsi patrocinati dalla FIAF nel corso dell’anno di riferimento (ben ottantadue nel 2016).

Jason Row, un fotografo britannico freelance non molto conosciuto, che vive a Odessa in Ucraina ed è specializzato in vendita di fotografie di viaggio, scrivendo a proposito delle competizioni fotografiche, ha avuto modo di affermare: ”Chi partecipa ai concorsi fotografici lo fa principalmente per conquistare un riconoscimento. Tutti i fotografi hanno il desiderio di essere accreditati per le loro capacità. Ciò, ovviamente, costituisce un atto di vanità, ma la conquista di una gratificazione può rappresentare anche uno stimolo a fare sempre meglio e ad essere maggiormente critici nei confronti dei propri lavori.” Quella di Row è una dichiarazione tanto semplice quanto azzeccata. I concorsi vanno presi per quello che sono. Ma la loro valenza non può esaurirsi con la semplice ricerca ed eventuale conseguimento di un risultato; i concorsi, se ben interpretati, rappresentano un vero e proprio incentivo alla crescita. È in quest’ottica che anche la Mostra organizzata annualmente dalla FIAF assume uno spessore che va ben al di là della semplice “vetrina” espositiva.

Le cinque opere finaliste de “La foto dell’Anno 2016” sono “Adrenaline 2” di Francesco Armillotta di Manfredonia (Foggia), “Koranic school 5” di Marco Bartolini di Montevarchi (Arezzo), “Underground” di Giulio Brega di Fabriano (Ancona), “Le due sorelle” di Carlo Durano di Grosseto e “Donna sul carro” di Bruno Madeddu di Sarzana (La Spezia). A conclusione di tutto l’iter selettivo, il titolo di “Foto dell’Anno 2016” è andato a “Donna sul carro” di Bruno Madeddu.

Fulvio MERLAK


Vi aspettiamo mercoledì 20 settembre 2017 alle ore 18:30 presso la Sala Fenice del Circolo

“CONFINI 14” di autori vari

Inaugurazione della mostra

“CONFINI 14” di autori vari

Da quattordici anni Confini seleziona ogni anno progetti di fotografia contemporanea e li propone in tutta Italia. Una rete nazionale di Associazioni e Curatori, che non ha precedenti nel panorama italiano, ha permesso di formare una giuria qualificata e di utilizzare spazi espositivi riconosciuti per l’impegno che dedicano costantemente alla fotografia.

Attraverso un bando pubblico sul portale “photographers.it” si selezionano Artisti che nel loro percorso creativo utilizzano il linguaggio fotografico per indagare i confini, appunto, tra la fotografia e le altre forme di espressione artistica. Le scelte dei Curatori si sono indirizzate in questi anni verso Autori che – pur sfruttando tali contaminazioni – provengono da una formazione fotografica, ne privilegiano il linguaggio e riflettono sul mezzo. Una fotografia che non documenta e spesso non rappresenta il reale, ma riflette una dimensione personale e intima attraverso progetti composti da un numero consistente di immagini fisse bidimensionali.

Confini è la prova che la fotografia italiana è in continua evoluzione e che il suo livello ormai ha raggiunto standard internazionali.

Quest’anno i cinque lavori prescelti sono:

“Il velo di Maya di Carmen Decembrino (Manfredonia) – C’è qualcosa di non visibile agli occhi, che l’errore porta alla luce. Il velo si dissolve grazie al “glitch” dato da un comportamento anomalo, che permette al fotografo di ottenere dei vantaggi non previsti. Lo schermo tra noi e la vera realtà, che ce la fa vedere distorta e non come essa è veramente si dipana sino a svelarci una nuova rappresentazione delle cose.

Luoghi mentali di Me Né, alias Simone Meneghello (Milano) – Costrizioni, trasformazioni, equilibri. Il progetto artistico di Me-nè si sviluppa verso una vera e propria riduzione dell’essere umano a ciò che intimamente è, e si avvicina all’arte antica sarda in una sorta di primitivismo astratto. L’uomo viene raffigurato nella sua semplicità, nella sua sintesi, nella visualizzazione di quei tratti essenziali che lo definiscono.

“E poi verrà la nebbia” di Franco Monari (Carpi) – Questa serie di fotografie nasce dall’esigenza dell’Autore di ritagliarsi dei momenti nei quali uscire ed in solitudine esplorare il paesaggio per qualche ora. L’esplorazione ed il rapporto tra luogo e memoria diventano elementi fondamentali nella formazione di una propria identità. Il paesaggio esplorato è dunque quello nel quale l’Autore è nato, cresciuto e nel quale vive.

Album – Ricordi in conserva dello Studio Pace10, alias Gianfranco Maggio e Monica Scardecchia (Milano) – Non si tratta di tradizionali fotografie, ma di conserve di ricordi. Conservare significa mantenere un soggetto nell’essere suo, custodirlo, salvaguardarlo da tutto ciò che potrebbe alterarlo o distruggerlo. Riflettendo sui due ambiti della fotografia e della conservazione alimentare, il progetto interroga l’archetipo che si nasconde dietro il gesto di conservare.

Ombre e menzogne di Silvia Zanasi (Bologna) – Il progetto si incentra sul tema dell’identità evidenziando il confronto di tante sagome umane apparentemente diverse tra loro. Il volto e ogni dettaglio scompaiono dietro alla superficie bianca che, come una maschera, annulla la personalità di ogni individuo e ogni possibilità di rivelazione estetica, mostrando così la diversità di ogni profilo. Chi apparentemente è diverso, è in realtà uguale.

Inaugurazione della mostra “LA GRANDE MIGRAZIONE” di SONJA MARINSEK

Mercoledì 15 marzo 2017

inaugurazione della mostra “LA GRANDE MIGRAZIONE”

di SONJA MARINSEK

 

La grande migrazione è senza dubbio il più imponente spostamento
di massa che avviene ogni anno nel mondo animale. Oltre un milione e mezzo di gnu, più di duecentocinquantamila zebre e una nutrita schiera di mammiferi, seguendo il ciclo delle piogge, si spostano da un territorio all’altro in cerca di acqua e di erba verde. Un viaggio circolare, che inizia nella zona del Ngorongoro, in Tanzania, fino all’estremo nord nella zona del fiume Mara, e che poi ritorna al punto di partenza. Il parco nazionale del Serengeti, che in lingua masai significa “la pianura senza fine” e in Kenya diventa Masai Mara, è lo scenario in cui si svolge questo incredibile spettacolo.

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Sonja Marinsek si è avvicinata alla fotografia per merito del suo amore per la natura e gli animali. Condividere un attimo della loro vita, magari dopo ore di attesa, portare a casa lo scatto di quel momento, rappresenta per lei una grande gioia. Fotografa da appena quattro anni, ma di certo Sonja ricorda perfettamente, per ogni sua immagine, le emozioni percepite nel momento dello scatto, conscia dell’importanza del mezzo fotografico, e grata per le suggestioni che la fotografia le regala.

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Inaugurazione mostra “La nostra Argentina”

Molti gli intervenuti alla mostra che vi abbiamo anticipato nell’articolo precedente: soci, amici, parenti, compagni di viaggio. Gradito ospite Alessio Colautti con Giorgia Cecchelin.

Marinella, Liberia, Lucia e Susanna hanno presentato individualmente anche un video relativo alle emozioni più intense trascorse durante il viaggio in Argentina.

Al termine, un gustoso buffet per concludere in modo festoso e sereno una serata molto ricca e di immagini e di intensità.

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«La nostra Argentina»

15 febbraio – 10 marzo 2017

«La nostra Argentina»

Mostra di

Giulio Bonivento, Lucia Crepaldi, Liberia Gracco, Susanna Serri, Scilla Sora e Marinella Zonta

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Come un enorme triangolo capovolto, l’Argentina occupa la punta meridionale del Sud America, da cui si protende verso la Terra del Fuoco e l’Antartide. Racchiude ambienti diversissimi: dai picchi andini dell’ovest, alle foreste subtropicali del nord e alle steppe e regioni glaciali della Patagonia. Il suo patrimonio naturale incontaminato è sicuramente la maggiore attrattiva di questo Paese immenso e dalle mille anime, terra lontanissima ma legata alla Vecchia Europa.

Alcuni nostri fotografi, negli anni passati, l’hanno esplorata e, in questa occasione, racconteranno il percorso che più è rimasto nel loro cuore, dal fragore delle Cascate di Iguazù e la grandiosità dei paesaggi naturali al silenzio dei ghiacciai della Patagonia e della Terra del Fuoco, passando dall’immensa città di Buenos Aires.

Di seguito una breve presentazione, da parte dei nostri “esploratori”, di quanto andremo a vedere:

  • Giulio Bonivento: “Un dito sotto al cielo: la Puna argentina”

La Puna è il territorio delle Ande argentine che si estende a nord-ovest di Salta e segna il confine con Cile e Bolivia. In quella parte di mondo, praticamente deserta, una natura incontaminata fatta da deserti rossi e specchi di sale, sconfinati orizzonti e cime innevate più alte di 6000 metri, i pochi abitanti mantengono una cultura antica, basata sul sincretismo religioso in cui coesistono perfettamente cerimonie cattoliche con riti sacri dei loro antenati: venerano i santi e la Madre Terra, la Pachamama, e conservano i loro costumi ancestrali, tipici della cultura kolla, mescolando il Cristianesimo con i riti pagani. La Puna è una terra di contrasti, abitata da uomini e donne con i tratti del volto indio, mescolati ad altri caratterizzati dai tratti spagnoli dei “conquistadores”, ma tutti con la pelle abbronzata dal sole e dal vento di quelle montagne, uniti da una vita scandita dai ritmi antichi e nobili della semplicità contadina.

  • Lucia Crepaldi: “Sulla rotta di Magellano”

Dal porto di Ushuaia, capitale dell’isola della “Tierra del Fuego” costruita alla “Fin del Mundo”, ci inoltriamo lungo il Canale di Beagle percorso da Magellano, che per primo doppiò lo stretto fra gli oceani Atlantico e Pacifico, al quale dobbiamo il nome. Escursioni al mitico Capo Horn, a Baia Wulaia, dove soggiornò e approfondì varie ricerche Charles Darwin, l’isola dei cormorani e l’isola Maddalena che ospita 120/130.000 pinguini ai quali Pigafetta diede il nome di Magellano. Sbarchiamo a Punta Arenas nella Patagonia cilena.

  • Liberia Gracco: “Cascate dell’Iguazù”

Cascate dell’Iguazù, al confine tra Argentina e Brasile, 275 salti fino a 70 metri di altezza, su un fronte di quasi 3 chilometri lungo l’omonimo Rio. Da lontano, prima ancora della coltre di vapore formato dalle miriadi di goccioline che si alzano verso il cielo, è il rumore ad avvisare che mi sto avvicinando. Dapprima è appena percepibile, è un lontano sordo brontolio che man mano si amplia… ed ecco, nel fragore diventato rintronante, mi ritrovo a fissare affascinata lo spettacolo dell’acqua che scorre, precipita, s’infrange e rimbalza, scintillando, in mille spruzzi cristallini di luce arcobaleno. Il rumore è punteggiato da esclamazioni e gridolini di viaggiatori entusiasti, ma riesco ad isolarmi, nella magia che mi incanta ed emoziona. E mentre gli occhi annegano nella bellezza, ascolto il suono della natura: un sovrapporsi di note di strumenti sconosciuti, un’armonia che è quasi musica, quasi una canzone: è il canto dell’acqua, immutabile ed eterno.

  • Susanna Serri: “Paesaggi argentini”

Raggiungere i 4.200 m. della Gran Salinas, attraversare paesaggi lunari lungo la Ruta 40, le coltivazioni di vigneti più alte al mondo, foreste tropicali, cascate da lasciarti senza fiato, il silenzio di luoghi irraggiungibili o il fragore dell’acqua o la confusione della metropoli. Questa è l’Argentina che terrò sempre nel mio cuore, meravigliosamente varia!!!

  • Scilla Sora: “I ghiacciai della Patagonia”

Quando arrivi in Patagonia, ti rendi conto di essere ospite di una natura meravigliosa che ti mozza il fiato. Davanti all’immensità e alla rara bellezza dei ghiacciai secolari, che si rivelano con la loro infinita successione di timpani candidi e turchesi, dalle più stravaganti forme, resti attonito. Sai che sono il calibro della nostra esistenza e speri che resistano così per sempre, li senti vivi, sembrano quasi respirare e sobbalzi ogni qualvolta un blocco di ghiaccio si stacca e, con un boato impressionante, piomba nell’acqua da decine di metri. È uno spettacolo difficile da dimenticare.

  • Marinella Zonta: “Paseadores de perros in Buenos Aires”

La prima volta che ne ho visto uno ho pensato a uno strampalato amante dei cani, poi ne ho visti altri e ho capito. È un lavoro. Si fermano davanti a un portone, la donna di servizio scende e consegna il cane e così avanti, portone dopo portone, finché ci sono tutti, otto, dieci… Sono bravissimi a farsi rispettare e a mantenere la disciplina. Nessun cane del gruppo abbaia, tenta di scappare o di attaccare briga con gli altri. Se uno deve fare la pipì, gli altri fanno gli indifferenti e aspettano con pazienza. Sono dappertutto a Buenos Aires. Di solito sono bei ragazzi giovani, per lo più sono maschi, ma talvolta sono donne. Ognuno ha la propria specialità, cani grandi, cani medi, cani piccoli. C’è una grande domanda, servono, ma sembra sia anche uno status symbol della buona società. Sono i dogsitter di Buenos Aires.