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“EUGENE ATGET, IL FOTOGRAFO DELLA VECCHIA PARIGI” – Conferenza di Fabio FRANCESCATO

«Eugène Atget, il fotografo della vecchia Parigi» Conferenza di Fabio Francescato

 

In occasione di una delle sue abituali visite al celebre mercante d’arte Léopold Zborowski, un uomo anziano, ben noto nel quartiere che da 28 anni percorreva instancabilmente, va a bussare da un vicino di rue Champagne-Première. La persona che lo riceve è sbalordita dalla collezione di immagini che compaiono davanti ai suoi occhi. Con la sua abituale foga, e soprattutto con la lungimiranza e l’eccezionale disponibilità di spirito che lo caratterizzarono per tutta la vita, Man Ray coglie immediatamente tutta la poesia, intensa ma discreta, che promana da quelle immagini prive di artificio. Proclama il suo entusiasmo per quelle che definisce “opere d’arte”. Ma Atget ribatterà soltanto con un vago “Non sono che documenti”.

Eugène Atget fu il fotografo della vecchia Parigi. Nato nel 1857, in “provincia”, nella Gironda, tentò senza fortuna vie diverse fino a quando si stabilì a Parigi dove cominciò a frequentare il quartiere di Montmartre e gli artisti che occupavano i numerosi atelier della zona. In questi ambienti le fotografie erano ampiamente utilizzate a titolo di documentazione o di promemoria e Atget decise di guadagnarsi da vivere.

Tra il 1897 e il 1927 fissò con ineguagliata maestria l’impronta della storia. L’osservazione quotidiana dei mutamenti sul volto della città non fu solo la sua professione, ma anche la sua vocazione. Quando fu sepolto, nel 1927, il suo funerale passò praticamente inosservato; ciononostante, oggi Atget è considerato uno dei maggiori fotografi di tutti i tempi.

Fino alla fine rimase fedele al suo pesante apparecchio a soffietto, un formato 18×24 che si trascinò dietro per quasi trent’anni. Ad un certo punto Man Ray, che non smise mai di lodarlo, si offrì di prestargli un piccolo apparecchio portatile, ma Atget non lo volle. Deplorava che l’istantanea fosse più rapida del suo pensare: “È troppo veloce! È troppo veloce!”

A partire dal 1899 Atget comincia a vendere alcune serie di fotografie riunite per tema in album che avevano titolo significativi come Paris Pittoresque, L’Art dans le vieux Paris, Topographie du vieux Paris, Paysages-Documents a diverse istituzioni, come La Biblioteca Nazionale di France, il Musée Carnavalet, la Bibliothèque historique de la Ville de Paris. Solo da parte di quest’ultima risultano acquisizioni regolari, tra il 1900 e il 1914, di 3.294 stampe. La Biblioteca Nazionale di Francia acquisterà diversi album composti da originali, che Atget confezionava con cura e vendeva con regolarità: questi acquisti periodici spiegano anche l’abbondanza della sua opera.

Atget continua a fotografare con regolarità tutto ciò che incontra durante le peregrinazioni nella sua amata città: Come scrisse al direttore dell’Accademia delle Belle Arti in una lettera datata 12 novembre 1920: “Per più di vent’anni ho raccolto, grazie al mio lavoro e alla mia iniziativa personale, lastre fotografiche di tutte le vecchie strade della vecchia Parigi”. Poco dopo la lettera sarà seguita da una seconda in cui Atget volle precisare il suo pensiero: “La mia collezione è divisa in due parti: ‘l’arte nella vecchia Parigi’ e la ‘Parigi pittoresca’. L’interesse del pittoresco è dato dal fatto che ciò che appare nelle immagini è oggi completamente scomparso: per esempio il quartiere Saint-Severin è del tutto cambiato. Ho tutto il quartiere di 20 anni fa, fino al 1914, demolizioni comprese”.

Il valore della sua opera venne riconosciuto dapprima negli ambienti surrealisti. Poco dopo la morte, Berenice Abbott, che era venuta a Parigi per studiare scultura ed aveva lavorato con Man Ray, ne lodò la grande coerenza intellettuale, la volontà di testimoniare le trasformazioni storiche e valoriali di una società che tra l’Ottocento e il Novecento andava progressivamente cambiando i suoi stili di vita in nome della modernità: “Lo ricorderemo come uno storico dell’urbanistica, un autentico romantico, un innamorato di Parigi, un Balzac della fotografia, la cui opera ci permette di tessere un grande arazzo della civiltà francese”.

Fabio FRANCESCATO

«Paris Tendresse» Conferenza di Fabio Francescato

Modiano amava ripetere di aver sempre voluto “conoscere tutto ciò che era esistito, nel corso del tempo e per strati successivi, in una data zona di Parigi”. Brassaï, prima ancora di prendere in mano una macchina fotografica, nottambulo instancabile, aveva per anni curiosato in tutti i quartieri della città. Ora due grandi artisti si ritrovano in un libro che ripercorre quegli anni Trenta che precedettero la tragedia della guerra e del collaborazionismo. Modiano era nato a Boulogne-Billancourt, nell’agosto del 1945: non aveva quindi conosciuto quegli anni Trenta in cui Parigi era ancora “tendre”, né gli anni delle miserie e dei compromessi davanti al tedesco occupante. Aveva però dei genitori che in quel sottobosco meschino e tragico avevano navigato senza onore…

Lo ricorda una pagina dolente del suo romanzo Un pedigree: La madre – “Era una giovane donna dal cuore arido” – aveva collaborato a lungo con l’industria cinematografica tedesca ed aveva recitato, con un certo successo, per gli aviatori tedeschi ed i lavoratori della Todt. Il padre, ebreo, a lungo aveva trafficato con persone legate ad ambienti collaborazionisti ed all’esercito tedesco. Era sempre riuscito ad evitare i controlli della polizia… “Sono un cane che finge di avere un pedigree” ricorda Modiano, e la sua ricerca del passato che gli valse il premio Nobel nel 2014 non poteva non incontrarsi con quel grande fotografo che negli anni Trenta, munito della macchina fotografica, aveva fatto di Parigi la “sua” capitale. Erano anni in cui la vita poteva ancora essere “tendre”… Ricordando il grande amico di Brassaï, Modiano scrive: “Si, come diceva Prévert, nulla è come prima e tutto si è guastato. Il disco si è rotto. La guerra ha spezzato la ‘romance de Paris'”:

Sei anni dopo la morte di Brassaï, nel 1990, le Éditions Hoëbeke-Paris pubblicarono Paris Tendresse, che celebra tra immagini e parole quella “romance”. Nella copertina compariva la foto di una coppia di innamorati che si scambiavano un tenero bacio: “Al tavolo di un caffè, un uomo ha avvicinato il suo volto a quello di una donna che sorride. È sul punto di abbracciarla e i loro due volti si riflettono sui vetri. Ho creduto di riconoscere mio padre, per quei capelli neri incollati indietro e pieni di brillantina”.

Come il fotografo affida alle stampe le luci e le ombre che ha saputo cogliere, così fa lo scrittore. Il suo ultimo romanzo – Pour que tu ne te perdes pas dans le quartier – si apre, e non a caso, con una citazione di Stendhal: “Non posso dare la realtà dei fatti, posso presentare soltanto la loro ombra”.

Fabio FRANCESCATO

Presenti alla serata la Console di Francia a Trieste Christa Chiaruttini Leggeri, la presidente dell’associazione Italia -Israele Luisa Fazzini e il fotografo ungherese Gyula Salusinszky.

Fabio Francescato: “La photographie humaniste”

Mercoledì 23 aprile 2014

Avanti con gli anni, Cartier Bresson amava definirsi “un umanista”, riprendendo un’espressione legata a quella “photographie humaniste” che a partire dagli anni Trenta si era imposta in Francia ed a cui aveva dato il suo fondamentale contributo.

Esaurite la spinta delle avanguardie e la ricerca ad ogni costo di forme nuove, la fotografia francese aveva intrapreso un nuovo cammino, attento alla realtà quotidiana, alla condizione umana colta nei suoi aspetti intimi e dolorosi, nelle sue battaglie contro gli effetti della crisi del ’29 ed il diffondersi dei fascismi. Nel suo desiderio di ricostruzione umana e materiale dopo il 1945.

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Fabio Francescato: “Uomini del XX secolo di August Sander”

Mercoledì 24 aprile 2013

August Sander nacque nel 1876, a Herdorf, piccolo centro minerario del Palatinato Renano, quarto figlio di nove fratelli. Da ragazzo lavorò nella miniera, dove il padre faceva il carpentiere ed entrò in contatto con molti lavoratori, provenienti anche da altri paesi.

Subito dopo il servizio militare intraprese il “mestiere” di fotografo e passò di città in città fino a fermarsi a Colonia. Qui ebbe i suoi primi successi e qui, dopo la guerra, entrò in contatto con i “progressisti di Colonia”, un gruppo di artisti che cercava di andare al di là dell’esangue lezione dell’espressionismo e di conciliare costruttivismo e obiettività, geometria e oggetto, verso quel modello estetico che avrebbe preso il nome di “Nuova obiettività”. La rivista del gruppo, A bis Z, gli aprì le pagine e contribuì decisamente a far conoscere ad un pubblico sempre più ampio i suoi lavori.

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“La Germania negli anni Venti e la fotografia di August Sander”

Mercoledi 6 febbraio 2013

Scrive Walter Benjamin nella sua Piccola storia della fotografia : «Per la prima volta, dopo decenni, soltanto i cortometraggi a soggetto dei russi fornirono l’occasione di far comparire davanti alla cinepresa uomini che non avrebbero saputo che farsene della loro fotografia. Istantaneamente il volto umano ricomparve sulla lastra con un significato nuovo, enorme. Ma non si trattava più di ritratti. Di che cosa si trattava? È il grande merito di un fotografo tedesco, quello di aver risposto a questa domanda. August Sander ha raccolto una serie di teste che non ha nulla da invidiare alla poderosa galleria di fisionomie di un Eizenštein o di un Pudovkin, e lo ha fatto da un punto di vista scientifico».

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