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Il diario di Valentina

Mostra fotografica presso la Sala Fenice del Circolo, dal 14 ottobre al 13 novembre 2015

Il diario di Valentina

Personale di Juan Arias Gonano

Il soggetto della mostra è ispirato al famoso personaggio del mondo del fumetto italiano, Valentina, del grande disegnatore Guido Crepax. Mediata dallo sguardo e dalla sensibilità degli scatti di Juan Arias Gonano, l’eroina si materializza fisicamente in una ragazza vera “in carne ed ossa”. Valentina (questo l’effettivo nome della modella fotografata), racconta una storia espressa attraverso la gestualità corporale che manifesta stati d’animo, desideri e suggestioni surreali, in una serie di fotografie a colori, bianco e nero e a sorprendenti elaborazioni grafiche.

Le location di questo progetto foto-grafico si trovano a Gorizia e a Nova Gorica, luoghi che compaiono all’interno delle immagini quali scenografie che rafforzano il contenuto espressivo e concettuale. Le immagini sono rese con un uso calibrato delle gamme di colore, con un sapiente utilizzo della luce e con notevoli qualità di sfumature nei passaggi chiaroscurali. Nelle grafiche Juan rende “fumettistica” la tecnica fotografica avvicinandosi al capolavoro di Crepax, “Diario di Valentina”, da un’altra ottica, molto personale.


Foto di Renata Deganello

 

Juan Arias Gonano

Nato in Argentina nel 1970, laureato in Belle Arti, artista plastico, restauratore e insegnante, Juan Arias Gonano prosegue gli studi in Italia avvicinando diverse tecniche e materie teoriche dell’ampio e diversificato mondo dell’arte; nel campo della fotografia inizia la sua ricerca personale già all’Università di Rosario in Argentina, sotto la direzione del Prof. Bras, e la prosegue in Italia al CRAF, Centro di Ricerca ed Archiviazione della Fotografia, in collaborazione con diverse e prestigiose istituzioni internazionali che gli permettono di studiare e di conoscere persone di fama internazionale: Charles Henry Favrod, Italo Zanier, Silvia Berselli, Michael Jacob, Michael Gray, Nora Kennedy, Anne e Henry Cartier Bresson. Nel 1997 inizia la sua esperienza professionale nel Museo, nella Stamperia d’arte e nei Laboratori fotografici della Fratelli Alinari di Firenze, sotto la guida di George Tatge, occupandosi di stamperia, di restauro, digitalizzazione ed archiviazione della fotografia. La sua ricerca espressiva lo porta a interessarsi dell’estetica della rovina, come manifestazione della società contemporanea, al nudo artistico femminile sotto un profilo quasi scultoreo della donna nel ambito della vita quotidiana. Dal 1992 al 2000 espone pubblicamente i suoi lavori in Argentina e in Italia. Dopo una pausa di riflessione, dal 2013 riprende a esporre le proprie fotografie prese nei Laboratori fotografici della Fratelli Alinari di Firenze, sotto la guida di George Tatge, occupandosi di stamperia, di restauro, digitalizzazione ed archiviazione della fotografia. La sua ricerca espressiva lo porta a interessarsi dell’estetica della rovina, come manifestazione della società contemporanea, al nudo artistico femminile sotto un profilo quasi scultoreo e della donna nell’ambito della vita quotidiana. Dal 1992 al 2000 espone pubblicamente i suoi lavori in Argentina e in Italia. Dopo una pausa di riflessione, dal 2013 riprende a esporre le proprie fotografie presentando il catalogo e la mostra “Woman” a Gorizia.

13° TriestePhotoFestival – Sabato 29 agosto

Penultimo giorno oggi per il 13° TriestePhotoFestival.

Siamo quasi alla fine ma proseguono i lavori dei lettori, le conferenze e il workshop con Antonio Manta giunto accompagnato da un ospite d’eccezione: Mustafa Sabbagh !

Oggi l’evento è stato ripreso dalle telecamere RAI e trasmesso sul TGR:

Ecco alcune foto di questi due giorni, impegnativi ma pieni di soddisfazioni per tutti noi.

Ringraziamo per le foto Morena Cotterle, Renata Deganello e Daniele Iurissevich.

“Silenzi del Nord” – Mostra di Donato Riccesi

E’ stata inaugurata questa sera la mostra di Donato Riccesi intitolata “Silenzi del Nord“. Mostra che rimarrà esposta presso la Sala Mostre Fenice fino al 13 marzo 2015.

La serata è stata anche l’occasione per incontrare l’autore triestino che si è descritto come un “fotografo senza flash e con poca pazienza” con una spiccata preferenza per la fotografia a colori e con un occhio di riguardo verso i grandi della fotografia italiana e la pittura in generale.

A breve realizzerà un libro fotografico su Gerusalemme. Non sulla splendida e suggestiva architettura della città, come sarebbe facile pensare vista la sua laurea in Architettura conseguita all’Università di Firenze, ma incentrandosi piuttosto sulle persone che vivono nella Città Santa.

Riccesi ha raccontato del suo viaggio tra le Orcadi e le Shetland manifestando la sua preferenza per la quieta solitudine del nord. Silenzio che ha ispirato il titolo della mostra.

Silenzi del Nord 4 - Donato Riccesi

Ho sempre provato un irragionevole trasporto per il Nord. Razionalmente ho cercato un perché, ma tuttora la ragione sta nascosta da qualche parte nella mia anima e non ha trovato una precisa risposta. Avevo visitato la Scozia, le Highlands, qualche anno addietro, e ne avevo subito il fascino: quella storia, quei silenzi, quegli spazi, quelle maree atlantiche, quelle popolazioni lontane, fiere e perdenti, tuttavia mai sottomesse…

Ma le isole a Nord sono un’altra cosa. Sono differenti, più estreme, lassù in alto, ai confini del mondo. Non sono neppure Scozia, se non da un punto di vista meramente amministrativo. Le Orkney un po’ di più, le Shetland affatto. Arcipelaghi di isole e isolotti scarsamente abitati ma con una storia antichissima dove non è raro imbattersi in tracce di civiltà e manufatti che risalgono all’età del bronzo. Ma non era la storia che cercavo. Forse cercavo solo un silenzio, una luce diversa, che a giugno non si spegne mai, con una notte che dura poche ore. Un modo per guardarsi dentro, per pensare, dove la natura è aspra e fortissima, gli animali e gli uccelli infinitamente più numerosi degli umani. Quella luce mi ha conquistato e dovevo fissarla, portarmela dietro per sempre nell’archivio della memoria per il resto della vita. La pace di quei villaggi al crepuscolo è indescrivibile, paiono sospesi in un tempo indefinito; qua e là tracce del nostro tempo, dove i frammenti della contemporaneità non sovrastano le preesistenze. Benché le Shetland vivano di un’economia basata sull’estrazione del petrolio, oltre che di pesca, e al largo vi siano decine di piattaforme offshore, viaggiando lungo queste ondeggianti strade solitarie, in un paesaggio glabro e senza alberi, vedevo altre cose. Ciuffoli di lana che vagavano nell’aria anche quando le pecore non erano in vista, e il frastuono degli uccelli marini sulle scogliere… e sui cartelli stradali: Attenzione! Attraversamento lontre! (al posto dei caprioli). E antiche distillerie di whisky dove tra le volte annerite e l’odore della torba evapora “la parte degli angeli”. Silenzi immensi, anche in pieno giorno, lungo i vicoli di antichi villaggi di pescatori; e memorie di guerre lontane, passaggi di prigionieri, anche italiani, deportati nel corso dell’ultima guerra. Ho colto una pervadente armonia in quei paesaggi, attraversati durante una settimana dilatata da sembrare lunga un mese. E un senso di appartenenza misterioso: a quelle solitudini, a quei mari. Un desiderio di ritornare che sinora ho allontanato nel timore di non poter ritrovare più le sensazioni provate in quel inizio giugno di quattro anni fa.

Forse è giusto così, in quell’isola che non c’è.” 

Donato RICCESI

 

Ringraziamo Renata Deganello e Marinella Zonta per le fotografie della serata.

Qui il sito web dell’autore.

 

Inaugurazione mostra Pietro Masturzo e incontro con l’autore

Trieste Photo Days 2014

Nell’ambito del Trieste Photo Days 2014, è stata inaugurata ieri sera la mostra fotografica di Pietro MASTURZO intitolata “Sui tetti di Teheran” con la raccolta di immagini che nel 2009 ha partecipato al prestigioso concorso del fotogiornalismo World Press Photo e che ha portato il nostro fotografo italiano a vincere il primo premio per foto singola.

Il “World Press Photo of the Year” è il Premio più prestigioso del fotogiornalismo internazionale.Il Premio è stato istituito nel 1955, ad Amsterdam, da una Fondazione olandese denominata, per l’appunto, World Press Photo. L’attività più rinomata della Fondazione è proprio quella di conferire annualmente un prestigioso riconoscimento ad un’immagine che si riveli non solo eloquente in quanto sintesi fotogiornalistica dell’anno, ma che, nel mostrare una situazione o un evento di grande importanza giornalistica, riesca a palesare l’eccezionale capacità visiva del suo autore. Le immagini del World Press Photo sono la memoria di oltre mezzo secolo di storia dell’umanità (ahimé, una storia davvero triste, fatta di soprusi e di crudeltà). Basti pensare all’immagine del monaco vietnamita che si dà fuoco per protestare contro la persecuzione dei buddisti da parte del governo di Ngo Dinh Diem (foto di Malcon Browne del 1963), oppure a quella del capo della polizia vietnamita che giustizia un prigioniero viet cong sparandogli alla testa in una strada di Saigon (Eddie Adams, 1968) o ancora quella, famosissima, di una bambina vietnamita, nuda e gravemente ustionata, in fuga dal suo villaggio dopo un bombardamento statunitense al napalm (Nick Út, 1972), o, infine (ma questi sono solo alcuni esempi), quella del manifestante cinese che da solo impedisce il transito dei carri armati durante la protesta di Piazza Tienanmen (Charlie Cole, 1989). Sono immagini che sono diventate icone della fotografia contemporanea.

Il 12 febbraio del 2010 (dopo due settimane di selezioni, durante le quali sono state esaminate 101.960 immagini realizzate da 5.847 fotografi di 128 differenti nazionalità), la Giuria della 53a edizione annuale del “World Press Photo” ha assegnato il Premio più ambito ad un Italiano, un giovane laureato in Relazioni Internazionali presso l’Università Orientale di Napoli, nato nel 1980 a Piano di Sorrento in provincia di Napoli, Pietro MASTURZO. L’immagine con cui Pietro ha vinto quello che da tutti è ritenuto il più importante concorso del mondo, s’intitola “Sui tetti di Teheran”, una foto facente parte di un portfolio con il quale, prima del “World Press Photo of the Year”, l’11 ottobre del 2009 aveva ottenuto un secondo Premio al “5° FotoLeggendo” di Roma, tappa conclusiva della sesta edizione di “Portfolio Italia”. Di seguito ecco la motivazione redatta in quella occasione dai Lettori di “FotoLeggendo”: «Per averci portato nella resistenza invisibile delle notti di Teheran, coniugando in una personale scelta stilistica un ottimo livello di fotogiornalismo e il rispetto per il necessario anonimato delle persone coinvolte». Ora, per comprendere l’importanza che riveste il “World Press Photo of the Year”, è sufficiente citare i nomi di alcuni dei vincitori delle passate edizioni, come l’inglese Donald Mc Cullin nel 1964, oppure l’americano Eddie Adams nel 1968, o ancora, per ben due volte, nel 1992 e nel 1994, lo statunitense James Nachtwey. Prima di Masturzo solo un Italiano era riuscito nell’impresa di aggiudicarsi il “World Press Photo of the Year”, il romano Francesco Zizola (nel 1996), con una foto che documentava la tragedia dei bambini mutilati dalle mine anti-uomo in Angola.

Il Presidente della Giuria del “World Press Photo of the Year” 2009, Ayperi Karabuda Ecer (Vicepresidente di Reuters), in occasione dell’assegnazione del Premio a Masturzo, ha detto: «Questa fotografia ci mostra l’inizio di una grande storia. Aggiunge prospettiva alla notizia. È esteticamente ed emotivamente toccante, e il mio cuore l‘ha scelta immediatamente».

Il 2 maggio 2010 Pietro Masturzo è andato ad Amsterdam per ricevere il World Press Photo Award of the Year. La sua foto raffigura alcune donne che, al calar delle tenebre, la sera del 24 giugno 2009, dopo i gravi scontri di piazza seguiti alle rielezioni di Mahmud Ahmadinejād, Presidente dell’Iran, dal tetto di una casa di Teheran, urlavano la loro protesta: “Allah u Akbar – Makbar diktator” (“Allah è grande – Morte al dittatore”).

 

Lasciamo alle parole di Pietro la descrizione dell’episodio: «Alcuni giorni prima delle elezioni presidenziali, ho visto i Bassiji (gli squadristi del regime) manganellare e arrestare i sostenitori di Hossein Mussavi (il principale antagonista di Ahmadinejād) per il solo fatto di far festa in piazza, in sostegno del proprio candidato. Io stesso fui arrestato assieme ad altri fotografi freelance per aver fotografato il loro entusiasmo. Le restrizioni di libertà di cui è vittima il popolo iraniano mi sono apparse subito evidenti. Una volta scarcerato, l’interprete che mi accompagnava mi obbligò, per ragioni di sicurezza, a non scendere in piazza a fotografare le manifestazioni. Quella sera ho sentito delle grida provenire dai tetti e alcuni studenti mi hanno raccontato che si trattava di una protesta che riproponeva quella attuata nel 1979, quando l’Ayatollah Khomeini incitò il popolo a salire sui tetti a manifestare il suo dissenso contro lo Scià, gridando “Allah è grande”. Istintivamente ho preso la macchina è solo salito anch’io sul tetto, emozionato come mai m’era accaduto prima. La tensione era palpabile e le persone avevano paura di essere riprese in volto e di essere poi identificate. Per questo ho fotografato in modo che i soggetti non fossero riconoscibili. Certo, quelle grida rappresentavano una forma di protesta e di lotta, ma anche un’invocazione di speranza».

 

Ervin Skalamera: “La storia dietro la Foto”

Mercoledì 30 aprile 2014

Sono nato in Croazia nel 1959, poi la mia famiglia si è trasferita a Trieste, in Italia, quando avevo sette anni. Ho iniziato con un semplice amore per i grandi spazi aperti e la fauna selvatica; l’interesse per la fotografia si è sviluppato attraverso il desiderio di condividere con gli altri la visione che incontravo.

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